Vivere di pastorizia. Un’attività fino a qualche anno fa in declino, quasi scomparsa, sia perché considerata poco appetibile dalle giovani generazioni sia per il dilagare degli allevamenti intensivi promossi dalle multinazionali in un mondo sempre più globalizzato.
Ultimamente, anche a causa della disoccupazione, si va riaffermando in alcune regioni e in particolare nel Molise, a fortissima impronta contadina, il ritorno all’allevamento, caratterizzato ancora oggi, dalla pratica della transumanza delle greggi, attraverso “tratturi” e “tratturelli” che segnano gli antichi percorsi fra Abruzzo, Molise e Puglia.
Ciò è favorito anche dalla mancanza di grandi agglomerati urbani e da un’economia semplice attuata a livello familiare. Sulle alture del Matese, su percorsi incredibilmente incantevoli, ritornano a vivere di pastorizia, quella vera, quella di una volta, densa di tradizioni, con un elevato valore ambientale, a vantaggio della biodiversità del territorio, molte persone soprattutto giovani.
La vita del pastore e della sua famiglia non si limita solo al pascolo, il fattore dominante è il tempo. Gli animali impegnano. Bisogna foraggiarli quando sono in stalla, occorre pulire la lettiera, fare i fieni, spargere il letame, ogni giorno ha la sua routine, ogni stagione i suoi lavori in aggiunta alla routine. C’è il momento dei parti, della mungitura, della cura degli agnelli, dei capretti, della lavorazione del latte per fare i formaggi, della vendita e via di seguito… ogni giorno per 365 giorni all’anno.
Durante una passeggiata sulle montagne di Campitello Matese, ho conosciuto il pastore Antonio che, confidenzialmente, mi ha raccontato la sua storia di vita. Ho deciso di sperimentare una giornata tipo di Antonio che con il suo gregge di 160 ovini, ogni giorno, si inerpica sulle montagne carsiche dell’Appennino molisano e lì consuma, passo dopo passo,la passione per un lavoro duro, ma nello stesso tempo affascinante!
Ha ereditato dal padre il mestiere del pastore, e non ha mai smesso, quando è andato via alla ricerca di un lavoro diverso, la nostalgia per il suo gregge, i sentieri, il silenzio, la pace delle sue montagne lo ha assalito. E ha scelto con convinzione di vivere in questa dimensione incantata.
Ogni attimo della sua giornata è pervaso da sacrificio, fatica, solitudine, ma anche da libertà, valori, rispetto e simbiosi con la natura. Le sensazioni che si provano nell’osservare Il vivere quotidiano del pastore con gli animali, è un susseguirsi di emozioni, di suoni, di odori percepibili nel contatto con il paesaggio montano autentico. I cani sono gli artefici e hanno un ruolo fondamentale nella gestione e nella protezione del gregge. In particolare il cane “Jack“ risponde, con prontezza di riflessi, in maniera quasi surreale, impeccabile a ogni comando di Antonio, affinché il gregge possa percorrere, nella massima sicurezza, il sentiero prefissato o improvvisato a causa delle situazioni climatiche, di pericolo o per la presenza di predatori come il lupo.
Dall’alba al tramonto, sette giorni su sette, per tutto l’anno, senza ferie e festività, la mandria e il suo pastore lasciano lo stazzo o la rimessa invernale, per dirigersi sulle alture, calpestando rocce, esposti al vento, alle intemperie, scottati dal sole, felici di fare una vita di sacrifici, ma ricca di tante soddisfazioni.