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Senza tregua

Senza tregua
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Pochi passi obbligati scandiscono la vita, tra un turno e l’altro, di Stefania, infermiera all’Ospedale S. Anna di Ferrara (ITALIA). Siamo in piena emergenza coronavirus, la pandemia che sta mettendo in ginocchio la sanità italiana e quella mondiale. Piccoli gesti quotidiani di una vita vissuta al limite tra timori e voglia di reagire, tra paure e senso di responsabilità. Anche in casa ci sono misure necessarie da seguire per sfuggire al contagio: nessuna vicinanza, nessun contatto, per evitare la contaminazione e le rischiose conseguenze. Solo il tempo di una doccia, un pasto, un tentativo di riposo dalla stanchezza fisica, mentale ed emotiva. Il rischio burnout diventa sempre più imminente per coloro che svolgono le cosiddette professioni d’aiuto a stretto contatto con la sofferenza e la morte, e l’esaurimento emotivo porta a sintomi psicosomatici come insonnia e depressione.
Non c’è tregua, non c’è fuga, non c’è sosta, oggi, come ieri, poche ore di stacco e si torna in ospedale, perchè il virus non aspetta, ma i pazienti si.

Al rientro a casa chiude il mondo fuori dalla porta, sulla mano i cerotti per le ferite causate dai DPI.

Qui una sua dichiarazione: “Ci sono momenti in cui non vorresti “portarti il lavoro a casa”, ma in questo periodo, per noi operatori sanitari, è inevitabile. Il mio lavoro non termina a fine turno, continua incessante anche a casa, quando devo fare attenzione a ciò che tocco, a come mi muovo, a quello che sfioro. L’isolamento fisico imposto dalle distanze di sicurezza satura, ulteriormente, i pensieri con la paura di un domani così vicino, ma anche così lontano. Nelle distanze riconosco la mia fragilità, ma nonostante ciò trovo la forza di andare avanti”

Misura la febbre ogni giorno per controllare la presenza di un eventuale contagio.

Il testo che segue è stato scritto a corredo delle foto da Federica Caracciolo (Scrittrice): 
“Oggi lascio le scarpe sull’uscio, e il cuore in un sacco di plastica. Lì, ad attendere un’altra giornata, a riposare. Ché a portarlo sempre con me si gonfia, diventa pesante, e mi toglie il respiro. Il respiro che manca, l’affanno. Le mani dolenti, spezzate. Bruciano. Ore di fatica e dolore, il disinfettante che devasta la pelle. Le carezze mancate. Il respiro. Il mio, il loro. Attraverso le strade deserte, nel silenzio irreale, dentro e fuori da quella porta. Non esiste più un tempo. È tutto sospeso nella nebbia del dubbio, della stanchezza antica, scavata fin dentro le ossa. Stasera metto l’anima in quarantena. Lascio le litanie del mondo, il terrore, il tormento. Il rantolo di una città in bilico. Lo lavo via, sfregando fino a farmi male. E poi mi nascondo in un sonno infestato di mostri, una breve pausa di pallida pace fittizia. Coraggio. Indosso le scarpe, riprendo il mio cuore e riparto. Il respiro, l’affanno. E i miei occhi, un bagliore affacciato alla maschera, raccontano le verità di questi insopportabili giorni. Le lacrime, la paura. Il prezzo di un abbraccio. Gli addii solitari, di ghiaccio. Il Silenzio.”

Al rientro a casa fa subito la doccia per pulirsi da eventuali contaminazioni sul corpo e per cercare di rilassarsi.
Lo sguardo teso allo specchio, dopo la doccia.
Cosparge il gel antisettico sulle mani già provate dall’uso continuo di disinfettanti alcolici.
Sulle mani e il viso i cerotti per le ferite causate dal continuo uso di disinfettanti alcolici e mascherine.
Ascolta la musica per cercare di rilassare la mente.
Poche ore di riposo sul divano prima di recarsi di nuovo a lavoro in ospedale.
Si prepara per tornare a lavoro indossando la mascherina con l’ovatta per proteggersi dall’irritazione provocata dai lacci.
Lo sguardo triste e preoccupato mentre si reca di nuovo a lavoro in ospedale.

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Luciana Passaro

Da sempre impegnata nel campo dell’identità visiva, settore dal quale proviene il suo stimolo ad interessarsi sempre più dell’etica dell’immagine. Gli studi in Fotogiornalismo… More »

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