Notte è sinonimo di fine, interruzione, sonno, assenza, a maggior ragione in un periodo di paure ed incertezza come questo, con la pandemia in atto di cui si intravede come le prime livide luci dell’alba la fine, ma si teme pure che sia ingannevole come l’attenuazione del male che, sul fare della scorsa estate, l’ha preceduta.
E allora nelle immagini che presento qui, come un ulteriore capitolo sulla pestilenza a Roma, provo a rendere le impressioni del buio, dell’oscurità , e delle donne e gli uomini che li subiscono.
E questi, sia che siano rassegnati o attivi, come l’eroico uomo delle consegne, assuefatti o animati da spirito di intrepida, o improvvida, iattanza, sembrano tutti, in modi diversi, tradire un rovello, il dubbio su quanto si possano attagliare non solo ai personali destini, ma in senso molto più generale a quelli delle comunità di cui facciamo parte i versi di Catullo:
Soles occidere et redire possunt,/nobis cum semel occidit brevis lux/ nox est perpetua una dormienda.
Catullo