Devo concentrarmi sul bosco e pensare che è fatto di alberi e dietro ogni albero un bosco.
Palmo su palmo s’impara a distinguere una corteccia dall’altra, si scoprono le fioriture del muschio, o una punta di gemma.
Dentro ogni foglia c’è un albero e dentro ogni albero un bosco: la mano fatica a saperlo.
Bastano un fischio o un fruscio per distrarsi sul passo che separa un bosco dall’altro, non districando più i nodi del buio che avvolge, vivo, ogni corpo. Se accade, feriscono i rovi; inutile alzarsi, trafitti da pietre appuntite coperte di foglie, o da stecchi bassi e ritorti tra ramo e radice.
Il piede non riesce a sentire la terra sotto le foglie e si ferma. Il corpo avanza come una pianta qualunque, che affidi germogli e radici alla luce. La vita diventa perpetua consegna del vuoto.
L’anima invece sta ferma nel punto preciso in cui il seme ha toccato la terra. L’occhio, coperto dal mondo, inizia ora a credere al bosco. È la ferita da cui entra luce nel corpo, ma non dà sollievo alla tenebra – le foglie, sue palpebre, crepe.