Giorni fa, mentre ascoltavo Mahler, uno degli autori che prediligo per la sua complessità , profondità e raffinatezza compositiva, per l’uso delle dissonanze e del sarcasmo, capace di citare temi corrivi per tramutarli, senza tradirne la vena grottesca, in musica sublime, danzando sul filo del rasoio, mi veniva fatto di riflettere su come questa preferenza abbia attinenza sia direttamente con il mio modo di guardare, sia, più in generale, con la storia della fotografia, a partire dalla sua nascita, nella connaturata ambiguità tra realtà ed artefatto che da allora la perseguita e la vivifica, e ne può fare la più surreale e sottile delle arti, fino all’attuale preoccupante proliferazione di immagini che questa ambiguità feconda vanno smarrendo annegata nel mare dell’irrilevanza, del solipsismo da una parte, e della ripetizione di stilemi pervasivi spesso carichi e “gridati” che, nell’apparente libertà creativa dei social media, assurgono alla dignità , immeritata, di canoni estetici dall’altra.
E allora per cercare di esprimere un proprio punto di vista su questi tempi contemporanei così strani e per più versi calamitosi, non resta che danzare sul filo del rasoio, riprendendo la metafora musicale, cercare di rendere un’atmosfera con una lieve dissonanza, provare ad avere l’occhio per quanto appaia solo “leggermente” incongruente, citare coscientemente immagini già viste utilizzandone, senza tradirla, anche l’eventuale vacuità .
Niente colori sgargianti, quindi, o effettacci drammatici, o ricerca spasmodica del raro, del mai visto, farei mio, quasi in una dichiarazione programmatica, quello che diceva Azazello a Margherita al loro primo incontro: “Per carità , niente strilli e niente patemi…”.